L’installazione specifica per chiesa Castello ideata e realizzata da Damiano Paroni
e curata da Donato Novellini, prende il nome “Vanitas” riandando proprio alle celebri
pitture seicentesche, nature morte elaborate con teschi, clessidre e candele spente,
quali allegorie barocche della caducità dell’esistenza: “Vanitas vanitatum et omnia vanitas”.

 

L’intervento artistico si dipana ad ampio raggio al suolo, tra lapidi consunte ed antiche
pietre della pavimentazione chiesastica, alla maniera di una fuga di nera materia cartacea,

scenograficamente affine ad una cerimonia silente, alla caduta ordinata fino alla dissolvenza
di uno stormo di rondini. Proprio il confronto tra resa esteticamente monocromatica, a suo modo “minimalista”, dell’opera ed apparato decorativo sfarzoso dell’edificio barocco, costituisce un valore aggiunto al progetto; ma se all’apparenza emerge immediatamente questa tensione
contrastante, a tutta prima stridente, ad un livello d’indagine più profondo - filosofico o spirituale -
sorgono legami sorprendenti, addirittura sottili affinità elettive fra contenuto e contenitore.

C’è un dialogo, dunque, sussurrato e sapienziale, riguardante per l’appunto la fugacità
d’ogni cosa mondana. Come scrive il curatore nel testo di presentazione: “Dunque, la domanda
da porsi non è: Cosa vuol dire? Bensì: Cosa suscita, quali sensazioni impressioni, emozioni,
turbe, fastidi, dubbi? Di certo l’installazione di Paroni trattiene e rilascia una tensione in grado
di smuovere qualche pensiero, anche profondo, fatto tutt’altro che trascurabile”.

 

Anche se la sua ricerca ha esplorato più media, Damiano Paroni ha sempre mantenuto uno stile
particolare guidato da un senso stretto di spazio e un uso maniacale dello stesso colore (nero).

Le sue opere si costituiscono spesso di pochi elementi la cui interazione può essere descritta
come dialogo silenzioso. Nonostante la completa mancanza di immagini e il frequente utilizzo
di forme rigide, il lavoro non è mai percepito come statico.

Appena la nostra vista viene a contatto con l’opera, percepiamo implosioni,
distanze e profondità, tutti collegati da un intimo respiro d'infinito.

 

La chiesa di Santa Maria Annunciata è detta anche Chiesa Castello perché sorta presso
la dimora (ora distrutta) dei Gonzaga. Eretta nel luogo di un preesistente edificio di culto,
in parte demolito, sorge su un antico sito fortificato. La sua costruzione fu voluta nel 1582
da Scipione Gonzaga (1542-1593). Lo sviluppo planimetrico della chiesa, a navata unica,
con cappelle laterali (tre per parte), si richiama ad un prestigioso prototipo mantovano:
la basilica di Sant’Andrea di Leon Battista Alberti. Pregevoli gli affreschi che decorano
la volta del presbiterio ed il catino dell’abside.

In seguito al crollo del tetto del 1990 il soffitto a cassettoni non è più ammirabile
se non per un solo frammento. Di notevole importanza sono le statue in stucco
collocate entro le nicchie della navata (gli Apostoli tra le lesene ed i profeti
nella fascia superiore). Attualmente, l’edificio, ospita manifestazioni culturali.

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VANITAS

Damiano Paroni

San Martino dall’Argine / Chiesa Castello

A cura di Donato Novellini

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